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Salute e benessere a 360 gradi. Alimentazione corretta e sport, dieta per dimagrire e tanto altro per vivere una vita serena e felice.

Come funziona il sistema linfatico

Il sistema immunitario del corpo umano dipende dal corretto funzionamento del sistema linfatico, che ne rappresenta una componente indispensabile al pari dell’appendice, delle tonsille, della milza, del midollo osseo, del timo e delle placche di Peyer, che si trovano nell’intestino tenue. Ne parliamo con Villa Regina Arco, casa di cura del Trentino che vanta quasi 90 anni di esperienza nel settore.

Tra i trattamenti messi a disposizione degli ospiti della struttura c’è anche il linfodrenaggio manuale, che serve a curare le patologie del sistema linfatico e a ridurre gli edemi che sono provocati da un suo cattivo funzionamento. I linfedemi sono gonfiori che nella maggior parte dei casi compaiono sulle gambe o sulle braccia: il linfedema primario è di tipo congenito, mentre quello secondario può essere la conseguenza di una infezione, di una lesione o di un intervento chirurgico.

Come è fatto il sistema linfatico

Il sistema linfatico comprende due dotti raccoglitori, i linfonodi e i vasi linfatici, che si caratterizzano per le loro pareti sottili. Proprio come quello venoso, anche il sistema linfatico è in grado di trasportare i liquidi in tutto il corpo. La linfa, in particolare, viene diffusa negli spazi tra le cellule attraverso le pareti dei capillari. Quasi tutto il liquido è riassorbito dai capillari; i vasi linfatici drenano il liquido che resta, per poi riportarlo dentro le vene.

Come sono fatti i vasi linfatici

Distribuiti in tutto il corpo, i vasi linfatici drenano la linfa dai tessuti: sono più larghi dei capillari ma più piccoli delle vene. Essi sono muniti quasi sempre di valvole grazie a cui la linfa viene fatta fluire in direzione del cuore. Tra le sostanze contenute nella linfa ci sono le particelle estranee come i virus e i batteri, le cellule tumorali e le cellule danneggiate che sono penetrate all’interno dei liquidi tissutali; essa inoltre trasporta minerali, proteine e altre sostanze che garantiscono ai tessuti il nutrimento di cui hanno bisogno.

I vasi linfatici

I vasi linfatici drenano all’interno dei dotti collettori, il cui contenuto viene svuotato nelle vene succlavie che si trovano sotto le clavicole. Tali vene si incontrano dando vita alla vena cava superiore: è una vena di grandi dimensioni che drena il sangue in arrivo dalla parte superiore dell’organismo in direzione del cuore. I centri di raccolta della linfa sono, invece, i linfonodi, attraverso i quali passano tutti i vasi linfatici; essi sono posizionati in punti strategici e contribuiscono a rimuovere le particelle estranee e le cellule tumorali dalla linfa.

I compiti del sistema linfatico

Uno dei compiti più importanti tra quelli che vengono svolti dal sistema linfatico consiste nella rimozione delle cellule danneggiate dal corpo umano. Ciò è possibile grazie ai linfociti e ai macrofagi, leucociti specializzati che devono aggredire ed eliminare le particelle esterne, gli organismi infettivi e le cellule tumorali o danneggiate. In questo modo si assicura anche una protezione rispetto alla diffusione del tumore o delle infezioni.

I linfonodi

Quasi sempre i linfonodi si raccolgono nei punti da cui partono i vasi linfatici: si tratta della zona inguinale, delle ascelle e del collo. La rete di tessuto contenuta nei linfonodi comprende i macrofagi, le cellule dendritiche, i linfociti T e i linfociti B, compattati in modo denso. Si tratta di una vera e propria maglia che filtra i microrganismi dannosi, i quali vengono riconosciuti dai linfociti B e dai linfociti T, per poi essere aggrediti. I globuli bianchi nei linfonodi, a mano a mano che si accumulano, si relazionano con gli antigeni e interagiscono gli uni con gli altri, così da assicurare le risposte immunitarie nei confronti delle sostanze estranee.

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Tutto quello che c’è da sapere sui grassi

Quando si parla di grassi sono numerose le domande in merito. In primis se facciano bene o no: alcuni sostengono che facciano ingrassare, altri che bisognerebbe assumerli quotidianamente. Ma qual è la verità?

Come nella maggior parte dei casi, la verità sta in mezzo: è giusto consumarli ma tenendo presente corporatura, obiettivi di peso e condizioni di salute, aspetti che incidono molto sulla quantità.

A cosa servono i grassi?

I grassi sono la principale fonte di energia per gli esseri umani, considerando che contengono il valore calorico maggiore e forniscono circa 9 calorie per grammo, quasi il doppio rispetto a proteine e carboidrati.

Ma attenzione: se si assumono troppi grassi rispetto al fabbisogno giornaliero, allora l’eccesso viene immagazzinato all’interno delle riserve di grasso che, se generalmente sono utili per mantenere in salute l’organismo, possono anche essere causa di patologie come l’ipertensione, l’aumento della pressione arteriosa o l’ipercolesterolemia. Per fortuna, si tratta di disturbi facilmente monitorabili, magari attraverso l’uso di farmaci per la pressione o integratori per colesterolo, ma è sempre meglio prevenirli ed evitare che insorgano.

Le principali attività del grasso per l’organismo umano sono:

  • protezione e isolamento degli organi;
  • assorbimento delle vitamine liposolubili;
  • regolazione della produzione di ormoni.

Tipologie di grassi e caratteristiche

I grassi ingeriti non sono tutti uguali, poiché contengono diversi acidi grassi che possono distinguersi in acidi saturi, insaturi e trans.

Acidi grassi saturi

Si trovano prevalentemente in alimenti di origine animale come burro, panna e formaggi, ma anche in alcuni grassi vegetali come l’olio di palma o di cocco.

Sono ritenuti poco salutari, anche se alcune ricerche sostengono che siano fondamentali per il buon funzionamento dell’organismo. Attorno agli organi si trova uno strato di grasso apposta per proteggerli, le cellule sono circondate da membrane di grasso che riesce a regolarle e la produzione di ormoni dipende anche dalla presenza dei grassi.

Sicuramente, non bisogna mangiare interi panetti di burro a colazione per aumentare la percentuale di grassi saturi, ma basta semplicemente continuare una dieta sana ed equilibrata composta anche da uova, latte, formaggi, burro, pollo, manzo, carne di maiale e salmone.

Per chi, invece, segue un’alimentazione vegetariana o vegana, esistono dei cibi sostitutivi come avocado, frutta secca e semi, cocco e olio di cocco, semi di chia e cioccolato fondente.

Acidi grassi insaturi

Si trovano maggiormente negli oli vegetali, quali l’olio di colza, di arachidi o di semi di girasole, oltre che nell’avocado, nella frutta secca e nei pesci grassi.

Rispetto a quelli saturi, gli acidi grassi insaturi apportano maggiori benefici: proteggono il cervello, diminuiscono l’insorgere di infiammazioni, facilitano il buon funzionamento del cuore. Sono dei veri e propri body guard dell’organismo, contribuendo a tenere lontani stress e squilibri di varia natura.

A loro volta, gli insaturi possono distinguersi in:

  • acidi grassi omega-6: stanno pian piano prendendo il posto degli omega-3, anche se questa operazione potrebbe comportare infiammazioni croniche;
  • acidi grassi omega-3: proteggono il sistema cardiovascolare e prevengono le malattie del cuore. Inoltre, influiscono positivamente nell’aumento del colesterolo “buono”, ovvero l’HDL e contribuiscono allo sviluppo cerebrale. Si possono trovare nei pesci grassi come salmone, tonno, trota e aringa; nell’avocado; negli oli di vario tipo come lino, pesce, oliva, avocado; nella frutta secca come noci, anacardi e mandorle; nei semi, quali quelli di lino, chia o zucca.

Acidi grassi trans

Si trovano in alimenti lavorati o confezionati, quali fritti, dolci e biscotti, margarina e surgelati.

Vengono prodotti attraverso un processo industriale che prevede l’aggiunta dell’idrogeno all’olio per spingerlo a solidificarsi. Un consumo spropositato di questo tipo di grassi aumenta il rischio di mortalità, probabilmente perché abbassano il colesterolo buono e aumentano quello cattivo, causando infiammazioni.

Per capire se un cibo confezionato è composto da grassi trans è sempre comodo leggere l’etichetta sul packaging cercando la voce “oli parzialmente idrogenati”.

Le regole per la corretta assunzione di grassi

I grassi dovrebbero coprire il 30% del fabbisogno calorico quotidiano. In generale, un adulto dovrebbe ingerire circa 60-80 gr di grassi al giorno senza abusare, quindi, di cibi che ne contengono troppi. Qualche esempio:

  • 1 tazza di avocado = 22 g di grassi
  • una manciata di mandorle = 14 g di grassi
  • 3 quadretti di cioccolato extra fondente (30 g) = 14 g di grassi
  • 1 cucchiaio di olio = 15 g di grassi

Detto questo, si consiglia di utilizzare 10-15 gr di olio vegetale o di olio di noci, che corrispondono a 2 o 3 cucchiai da the, per condire i piatti freddi, evitando la frittura e i grassi più pesanti da digerire.

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Prezzemolo ai cani: quali sono i vantaggi?

Potrebbe essere una sorpresa per molti proprietari di cani, ma il prezzemolo (Petroselinum crispum) porta tanti benefici alla salute del cane.

Il prezzemolo è un’erba molto popolare come spezia nei nostri piatti: fonte di flavonoidi, antiossidanti e vitamine e viene utilizzata nei cani come rinfrescante dell’alito, ma non ha solo queste proprietà.

Perché il prezzemolo è utile nei cani

Questa erba contiene anche licopene e carotene, contiene molti nutrienti, tra cui vitamine A, C, acido folico e antiossidanti.

Non dimentichiamo che questa pianta contiene anche clorofilla, che fa bene al tuo cane (una tazza di prezzemolo contiene 38 mg di clorofilla).

Questo è il motivo per cui a volte si vedono cani che mangiano erba. La clorofilla ha una struttura molecolare molto simile all’emoglobina.

La differenza reale è che la clorofilla trasporta magnesio e l’emoglobina trasporta ferro.

Quindi, quando il tuo cucciolo mangia erba, in realtà sta assumendo ferro per una sua carenza vitaminica. Allora perché non dargli un’ulteriore vantaggigrazie al delizioso prezzemolo?

Una buona abitudine, è quella di aggiungierlo spesso in mezzo al cibo di Fido in piccole quantità.

L’ASPCA (American Society for the Prevention of Cruelty to Animals) afferma che il prezzemolo primaverile è tossico, ma ciò è vero solo in grandi quantità.

Il prezzemolo è sconsigliato per femmine in gravidanza in quanto potrebbe causare contrazioni muscolari e alcuni soggetti con problemi ai reni non dovrebbero mangiarlo.

Prezzemolo: vantaggi sulla salute

Se somministrato in quantità adeguate, il prezzemolo può effettivamente aiutare a trattare determinate condizioni.

  • aiuta a profumare l’alito
  • ottimo per la corretta salute dei reni: porta pulizia e corretto funzionamento.
  • previene i calcoli renali e le infezioni del tratto urinario
  • aiuta la digestione
  • iuta a prevenire la cistite e persino i problemi cardiaci
  • è un potente diuretico, che potrebbe aiutare in caso di infiammazione
  • il contenuto di vitamina K può aiutare a trattare il dolore causato dall’artrite reumatoide

Dosaggio del prezzemolo al cane

L’ideale è dare il prezzemolo fresco e tritato mescolato con il pasto del tuo cane almeno 1 o 2 volte a settimana. La dose consigliata è di ½ cucchiaino da tè.

Si può dare anche esiccato ma bisogna evitare i semi poiché potrebbero essere tossici in grandi quantità.

Fonte: www.montevento.net

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I benefici della sigaretta elettronica

L’opinione pubblica è da tempo divisa a proposito dei benefici e dei potenziali rischi che sono correlati all’impiego della sigaretta elettronica. Quasi tutte le indagini che sono state eseguite sul tema, però, hanno messo in evidenza che questo tipo di prodotto è molto più pratico e sicuro rispetto alle sigarette classiche, vale a dire quelle in cui il tabacco viene bruciato. Sono numerosi gli studi che hanno preso in esame gli effetti della sigaretta elettronica se usata in modo continuativo, tanto nel breve periodo quanto nel medio termine. Ovviamente, non ci possono essere ancora risultati per le ricerche sul lungo periodo, visto che si parla di un dispositivo che è stato introdotto sul mercato in tempi relativamente recenti.

Perché si fuma la sigaretta elettronica

La sigaretta elettronica è stata concepita e sviluppata come alternativa rispetto al fumo di tabacco. Il sistema prevede la produzione di un aerosol al cui interno è presente una quantità di nicotina che può variare a seconda delle circostanze. Il resto degli ingredienti includel’acqua, il glicerolo, il glicole propilenico e gli aromi che danno al vapore il gusto, per esempio fruttato. In media il contenuto di nicotina di una cartuccia è compreso tra i 6 e i 24 milligrammi, ma ci sono anche modelli privi di nicotina: in questo caso ciò che viene rilasciato è semplicemente fumo aromatizzato.

Come sono fatte le sigarette elettroniche

Il meccanismo di funzionamento di una sigaretta elettronica non è complicato: il liquido contenuto al suo interno viene fatto giungere per capillarità a un atomizzatore, vale a dire un dispositivo che consente di inalare la soluzione dopo che essa è stata vaporizzata. Non è prevista alcuna combustione, ed è questa la caratteristica di maggior rilievo che differenzia la e-cigarette rispetto a una sigaretta classica. Il punto di evaporazione del mezzo che include i principi attivi è molto basso, il che vuol dire che non vengono prodotti residui tossici come il catrame o gli idrocarburi policiclici aromatici.

Come si forma il vapore

La vaporizzazione viene prodotta per mezzo dell’atomizzatore, il quale non è altro che una resistenza elettrica di cui viene aumentata la temperatura attraverso una batteria. La resistenza è a contatto con un piccolo tampone, il quale è impregnato con il liquido che deve essere vaporizzato. Le dimensioni della batteria incidono sulle prestazioni, che sono influenzate anche dal tipo di cartuccia che viene impiegato e dal bocchino. Ci sono sigarette elettroniche che sono grandi quanto un telefono cellulare di altri tempi e modelli molto meno ingombranti, più simili a una sigaretta normale.

Smettere di fumare con le e-cig

Uno dei benefici principali che derivano dall’utilizzo delle sigarette elettroniche consiste nell’aiuto che si può ottenere quando si ha voglia di smettere di fumare. Proprio questo è il motivo per il quale nella maggior parte dei casi si comincia con i modelli che riproducono la conformazione di una sigaretta tradizionale, dal momento che non si può sottovalutare il risvolto psicologico correlato al gesto di tenere una sigaretta in mano. La sigaretta elettronica dalla forma classica, insomma, è quella che viene adoperata più di frequente nei periodi di transizione: ovviamente è fondamentale che prima o poi si finisca di essere fumatori duali e ci si focalizzi unicamente sulla versione tecnologica.

Quanto dura una sigaretta elettronica

Il costo di accesso al kit iniziale per una sigaretta elettronica è molto più alto di quello di un pacchetto singolo, ma c’è da tener presente che il contenuto delle varie ricariche può essere paragonato a quello di vari pacchetti. La batteria ricaricabile, invece, in media dura diversi mesi, ma ovviamente molto dipende dall’uso che si fa del dispositivo.

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A che cosa servono i plantari propriocettivi

La correzione della postura di una persona può essere ottenuta anche attraverso i plantari propriocettivi, i quali vengono formulati in funzione delle scienze neurofisiologiche per assecondare le esigenze dei pazienti. Tali plantari sono pensati e realizzati per essere posizionati sotto i piedi e si adattano a qualsiasi genere di calzatura, incluse le scarpe sportive: di conseguenza essi possono essere indossati sia in casa che fuori. Il loro compito è quello di intervenire sugli squilibri che possono causare malattie e dolori anche fastidiosi. I riflessi miotattici ne assicurano l’efficacia, in quanto permettono alla struttura muscolare e scheletrica di ritrovare l’equilibrio.

Plantari attivi

plantari propriocettivi vengono ritenuti dei plantari attivi, dal momento che intervengono sulle articolazioni; si differenziano, pertanto, dai plantari biomeccanici, che sono passivi poiché non causano alcuna variazione una volta tolti. La stimolazione di punti specifici fa in modo che la postura possa essere corretta dal punto di vista fisiologico e che si arrivi a un’armonia complessiva del corpo: il tono muscolare, infatti, viene rinforzato, e lo stesso avviene per la tensione delle fasce e dei legamenti. Noti anche con il nome di solette propriocettive, questi plantari non superano i 2 millimetri di spessore e permettono di rimuovere algie, tensioni muscolari o conflitti articolari.

Il compito dello specialista

Un ruolo molto importante è quello dello specialista, che si serve dell’oggettivazione strumentale e della clinica al fine di segnalare lo specifico posizionamento dei microrilievi, i quali sono destinati a zone ben precise dei piedi in modo tale che possano essere stimolati i recettori nervosi da cui dipendono i riflessi miotattici. Il sistema tonico posturale fa parte del sistema nervoso centrale, e infatti la stimolazione neurosensoriale che viene innescata dai plantari giunge fino alla corteccia cerebrale. Il sistema conosce gli errori e reagisce a livello periferico con riflessi di riequilibrio resi possibili dalle catene miofasciali e, se necessario, con riflessi del Golgi.

Come funzionano i plantari propriocettivi

Ecco, quindi, che i plantari propriocettivi – che vengono realizzati su misura – permettono di riprogrammare in maniera efficace la postura andando ad agire sul cervello in modo diretto, e si differenziano dagli altri plantari che, in un certo senso, si basano su principi del tutto contrari.

I principi alla base dei plantari propriocettivi

Il punto di partenza è la considerazione dell’organismo umano nella sua totalità e al tempo stesso nella sua unità: in sostanza, il corpo funziona perché tutte le parti che lo compongono sono collegate le une con le altre e sono inseparabili, essendo connesse tra loro. Nel momento in cui si adotta un approccio biomeccanico, invece, le parti del corpo sono prese in esame una per una e considerate nella loro singolarità. Per capire a che cosa servono i plantari propriocettivi, a questo punto, vale la pena di indagare il concetto di propriocezione, che deve essere inteso come la capacità di percepire la posizione nello spazio del proprio corpo e di riconoscerla; essa, inoltre, corrisponde al riconoscimento dello stato di contrazione dei muscoli. Non basata sulla vista, tale capacità è indispensabile per il controllo del movimento.

Il ruolo dei piedi

piedi sono organi propriocettivi, ed è nota la relazione tra i recettori della sensibilità plantare: quando i recettori plantari vengono stimolati, l’attività dei muscoli tonico posturali viene modificata. Attraverso una modifica della risposta recettoriale, le solette propriocettivefanno sì che il sistema di controllo posturale si possa riequilibrare, in virtù di una riorganizzazione del processo dal punto di vista neurologico. Come si già evidenziato, pertanto, la correzione non è solo di carattere meccanico.

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Acqua e tono muscolare: quanto bere per idratarsi

Salute

L’acqua fa veramente bene a tutto il nostro organismo. In particolare sono molti gli studi che si sono concentrati sui benefici che l’acqua può portare ai muscoli del corpo. Ecco perché non bisognerebbe mai dimenticare di idratarci a sufficienza, in maniera adeguata, perché anche il nostro corpo possa godere di un benessere psicofisico eccezionale. Sono molti i compiti svolti da questa preziosa sostanza. L’acqua facilita la digestione, contribuisce ad eliminare le scorie del metabolismo e rende la pelle molto più elastica. Ma cosa c’entra in particolare l’acqua con il tono muscolare? Vediamo di saperne di più.

Perché l’acqua fa bene ai muscoli

È importante poter avere a disposizione sempre degli erogatori d’acqua come quelli presentati sul sito www.acqualys.it, in modo da badare sempre, nel corso della giornata, al livello di idratazione nell’organismo, qualsiasi sia l’attività che svolgiamo.

Ricordiamoci infatti che il sistema muscolare funziona meglio proprio grazie all’acqua. Quest’ultima agisce sull’elasticità delle fibre muscolari, contribuisce a mantenere lubrificate le articolazioni, influendo quindi anche positivamente sui movimenti dei muscoli e, inoltre, aiuta a smaltire il cortisolo, che, in quantità eccessive, può indebolire il tono muscolare.

Non dimentichiamo che mantenersi idratati è anche la condizione ideale per diminuire il rischio di incorrere nei crampi molto fastidiosi che possono affliggere in particolare gli anziani e chi pratica sport ad alti livelli.

C’è quindi più di un buon motivo per badare all’idratazione quotidiana, bevendo la giusta quantità di acqua in ogni momento della giornata, anche fra un impegno e l’altro. Ma quanta acqua si dovrebbe bere al giorno per assicurarci una buona idratazione? Scopriamone di più anche in questo senso.

La quantità di acqua da bere ogni giorno

Possiamo dire che è sbagliato bere soltanto quando proviamo una sensazione di sete. Non dovremmo mai arrivare a questa condizione, perché già il fatto che abbiamo sete indica che l’organismo manca dell’acqua che gli serve. Bisognerebbe sempre bere con una certa regolarità, di tanto in tanto in ogni momento.

Per quanto riguarda la quantità d’acqua sufficiente ogni giorno, non è possibile stabilire una regola che valga a livello generale per tutti. Infatti ci sono diversi fattori che influiscono sulla quantità di acqua che serve ad una persona per rimanere ben idratata.

Innanzitutto consideriamo il peso corporeo, perché con l’aumentare di esso aumenta anche la necessità di acqua. Prendiamo in considerazione poi il livello di traspirazione della pelle: ci sono persone che sudano molto e che quindi devono bere necessariamente di più.

Infine un ruolo di prim’ordine è rappresentato dallo stile di vita. Infatti per esempio chi pratica sport dovrebbe bere di più rispetto a chi passa molto tempo senza muoversi. Tutto questo serve ad evitare i sintomi più caratteristici e più pericolosi della disidratazione, che può essere indicata anche da uno stato di debolezza sia fisica che mentale.

Spesso una persona che non si idrata a sufficienza ha mal di testa, soffre di crampi muscolari ed ha la pelle poco elastica. Bisognerebbe sempre evitare di rimanere a corto di acqua, perché altrimenti si può incorrere più facilmente nel cosiddetto colpo di calore, che può essere molto pericoloso. Ricordiamoci di bere in media circa 8 bicchieri di acqua al giorno.

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Il daltonismo: tutto quello che c’è da sapere

Il daltonismo è un handicap oculare, di origine ereditaria e genetica, che equivale alla incapacità, o complessiva o parziale, di distinguere le varie tonalità di colore. La qual cosa è provocata da un’alterazione dell’apparato fotosensibile contenuto nella retina.

Secondo una stima solo circa l’8% degli uomini e lo 0,5% delle donne siano colpiti da forme di daltonismo.

Tuttavia, per quanto il daltonismo rappresenti un problema oculare che riguarda poche persone all’interno della società non si può non dire che è una malattia grave. Questo, anche perché, al di là del deficit visivo, è impensabile che una persona apparente normale viva nella totale impossibilità di fare una corretta distinzione di quelli che sono i colori presenti in natura.

Il termine “daltonismo” lo si deve al chimico John Dalton che per primo si accorse (scrivendolo in un articolo) dell’esistenza di un problema generico alla vista, a causa della sua cecità cromatica.

Cos’è il daltonismo comune

La tipologia di daltonismo più comune è la confusione di colori rosso-verde: coloro che ne sono affetti sono impossibilitati a distinguere i due colori. Questo avviene a causa delle lunghezze d’onda del rosso e del verde, che se in una persona dalla vista normale sono rispettivamente  medie (700 nm) e lunghe (540 nm),  nei daltonici vengono percepite come identiche.

Questo vuol dire che qualsiasi immagine verde su sfondo rosso viene vista da un daltonico a sfondo unico. Motivo per cui in presenza di un disturbo visivo così grave, si richiede sempre un accostamento di colori ben contrastanti tra loro, che non richiamino l’abbinamento rosso-verde.

La malattia del daltonismo è correlata ai cromosomi sessuali, il che vuol dire che i geni posti a livello dei cromosomi sessuali X provocano il deficit cromatico. A rigore di ciò la patologia oculistica, infatti, coinvolge in particolar modo i maschi (XY) rispetto che le femmine (XX).

Una malattia ereditaria

Se il daltonismo è una patologia legata ai cromosomi responsabili del nostro apparato ereditario viene da sé che si tratta di una malattia genetica trasmissibile. Questo ovviamente, vuol dire che, in qualità di disturbo recessivo, esso è situato nel cromosoma sessuale X: più precisamente la cecità cromatica non si passa direttamente dal padre malatp al figlio, ma è più facile che accada che una figlia portatrice possa trasmettere la malattia alla sua prole. Detto in altri termini, essendo una malattia legata al gene X, da una madre sana e un padre daltonico, verranno tutte figlie femmine con un cromosoma X sano (dalla madre) e un altro cromosoma X portatore di daltonismo (dal padre). Di conseguenza la generazione successiva avrà il rischio di ammalarsi di daltonismo (quindi avviene trasmissione da nonno al nipote. Per quanto comunque la malattia coinvolga più uomini che donne, non è impossibile trovare un soggetto femmina affetto da daltonismo: anzi, se la coppia di marito e moglie soffre in simbiosi di daltonismo, i figli al di là del sesso verranno fuori con una predisposizione daltonica.

Le cure al daltonismo

Dopo essersi sottoposti a dei test daltonismo ishihara e risultare positivo, viene spontaneo domandarsi se esiste una cura. Ad oggi, purtroppo, non ci sono cure farmacologiche ideali per abolire il daltonismo congenito; l’unico aiuto proveniente dalla medicina è di natura tecnologico-informatica.

Esiste infatti una specie di software che viene usato dai soggetti affetti da daltonismo per essere in grado di fare una precisa distinzione di colori (seppur in modo non del tutto naturale): una volta che si muove il cursore verso un elemento colorato, il programma dirà di che colore si tratta.

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Cannabis light: differenza tra THC e CBD

La cannabis, quella legale detta anche light, e quella che invece è uno stupefacente a tutti gli effetti, e che è illegale in Italia, spicca per essere una pianta caratterizzata da tanti componenti, e tra questi il THC ed il CBD  che sono due tra i più importanti. In particolare, nell’identificazione tra cannabis legale e marijuana illegale, è proprio il THC a fare la differenza in base alla concentrazione che è presente nell’erba. Ma cosa è il THC? Ed il CBD? Al riguardo c’è da dire che THC e CBD rientrano per la canapa light, e per l’erba ‘normale’, nella classe dei cosiddetti cannabinoidi che complessivamente sono oltre 60 quelli presenti.

Nello specifico, il THC è la sigla che sta ad indicare il tetraidrocannabinolo, mentre il CBD è il cannabidiolo. Nel dettaglio, il THC – tetraidrocannabinolo non solo è uno degli oltre 60 cannabinoidi di cui è composta la cannabis, ma è pure quello che individua il principale composto psicoattivo. Il che significa che più alta è la concentrazione di THC, maggiore sarà l’effetto stupefacente generato dall’erba fumata, ovvero utilizzata come prodotto da combustione.

Non a caso l’erba legale ha una concentrazione di tetraidrocannabinolo che è molto bassa e tale che fumare la canapa light non sballa ma genera al più un blando senso di rilassatezza. Il THC, che in Italia è demonizzato in elevate concentrazioni quando di parla di cannabis illegale ad uso e consumo ricreativo, in realtà presenta delle proprietà tali da essere utile con fini terapeutici nella cura di disturbi, malattie gravi e malattie croniche specie quando i farmaci tradizionali nel paziente non possono essere utilizzati a causa degli effetti collaterali. Oltre alla cannabis light, di conseguenza, c’è pure la marijuana a scopo terapeutico che in futuro rappresenterà sempre di più la nuova frontiera per la medicina alternativa.

Il CBD – cannabidiolo, invece, non è un composto con proprietà psicoattive, ma un efficace inibitore naturale che è sicuro e benefico, e che è legale in tutto il mondo. Essendo molto apparentato con il THC, spesso si fa confusione sui due componenti della cannabis andandoli erroneamente a mettere sullo stesso piano, ma in realtà il CDB è un cannabinoide che è dotato allo stesso modo di importanti proprietà terapeutiche al punto che la ricerca ha scoperto la sua efficacia contro la depressione, contro i disturbi d’ansia e pure per il trattamento contro la schizofrenia.

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